La calza la appendevamo al mobile della cucina vicino alla finestra, quel mobiletto aggiunto dopo, dal colore un po’ più chiaro rispetto al resto dei mobili.
Sceglievano con cura la calza, misurandone la lunghezza.
In genere la scelta ricadeva su una di quelle nere da uomo, che al mattino trovavamo così piena che il filo di scozia si tendeva fino a diventare trasparente.
I preparativi non si concludevano però con la calza: dovevamo lasciare qualcosa da mangiare e da bere a quell’ospite operosa e silenziosa.
Doveva lavorare davvero come un ninja: non siamo mai riuscite né a vederla né a sentirla, sebbene cercassimo ogni volta di star sveglie e captare ogni minimo rumore.
Almeno per darle il benvenuto ed offrire qualcosa di persona.
Sistemavamo così mandarini e biscotti sul piano di finto marmo della cucina e, di fianco, un bicchiere di latte o acqua.
In tutta questa preparazione che sa di magico, però, è sempre mancato qualcosa: il camino.
Già, perché in quella casa non c’era nessun camino dal quale potesse passare l’amata vecchina.
Se vi state chiedendo come faceva ad arrivare con la sua scopa e portare tutto quel ben di Dio…beh, semplice: entrava dalla ventola di aspirazione della cucina.
Nonostante col tempo fosse diventato normale, questo dettaglio mi ha sempre un po’ destabilizzato e forse è proprio da che si è formata la mia bizzarra idea di Befana.
Nella mia immaginazione, era una vecchietta altissima e magrissima. All’occorrenza si avvolgeva come una vite e, con un mulinello in pieno stile tornado, entrava vorticando su sé stessa dalla ventola che, come un lampioncino grigio, sovrastava proprio l’angolo in cui appendevamo le calze.
Pensandoci, i bambini della mia generazione (o almeno io) erano un po’ meno smaliziati di quelli di oggi. A noi non è mai passata per la testa l’idea che la vecchietta potesse passare dal portone condominiale, salire le scale ed entrare comodamente dalla porta, seppur più plausibile.
Sarà che questo pensiero avrebbe tolto tanta di quella magia che voleva quella signora di nero vestita snodata come una vite o un tornado, in barba alle regole della logica.
(In tutto questo, penso al mio Tommy, classe 2014, che, vista la stazza di una dei tanti Babbo Natale che popolano le feste _in quel caso un fantoccio di dimensioni reali con tanto di occhiali e guanciotte arrossate_ ha detto, con il suo ditino alzato: “Mi raccomando “Bambo”, ricordati di venire anche da me. E se non passi dal camino, usa pure le scale, ce le ho”).
In ogni caso, come facesse la Befana a passare in mezzo alle ventole, avevo smesso di domandarmelo: evidentemente aveva i suoi trucchi.
La mattina, il rito continuava: appena aperti gli occhi, ci affacciavamo dalla porta della cucina per vedere che cosa era successo. La vecchietta era notoriamente un po’ disordinata: mangiava lasciando briciole e bucce in giro e gocciolone di latte che lasciavano il piano e il bicchiere appiccicosi. Ma poco importava: quella debolezza la rendeva simpatica.
Era una vecchietta/tornado un po’ disordinata e magari aveva anche qualche patacca di unto nella gonna, ma sapeva fare delle calze super.
Iniziava così lo scartocciamento: rigorosamente nel lettone grande, sotto le coperte.
La Befana di oggi
La Befana di allora (e si sta parlando degli anni ’90), incartava ogni dolcetto in un pezzetto di carta di giornale e riempiva la calza non solo con dolciumi, ma anche con qualche mandarino, patate, noccioline da sgusciare e caramelle morbide sparse qua e là.
Non è proprio cambiato niente: la Befana che ora passa da casa mia, finalmente dal camino, continua ancora a riempire le calze con dolcetti, carote, teste di aglio e arance. Continua ancora ad infagottare ogni singolo pezzo nella carta per fare quelle belle calze gonfie e sformate dal ripieno, appoggiandole, finalmente, alla pietra del camino.
E anche se per me non ci sono più calze e dolciumi, va bene lo stesso: la mia dose ce l’ho avuta, adesso è ora che la Befana passi per qualcun altro. Onestamente, non so cosa sia più divertente. Se andare a dormire con il pensiero del tornado che entra in casa, oppure esser stata eletta come aiutante di fiducia della vecchietta.
Sì perché alcuni fortunati, ad una certa età, vengono scelti e hanno così l’onore di assistere la vecchina. Io sono una di quelle e così, adesso, mi godo il momento dell’incarto dei dolcetti e del riempimento delle calze. Il tutto, ovviamente, mentre ci mangiamo qualche biscotto, lasciando briciole ovunque e gocciolone di latte che fanno appiccicare il bicchiere alla pietra del camino.
I crostoni di cavolo nero: un conforto per l’inverno
Con questo ultimo rito festivo, finisce quel periodo magico dell’anno che, più di ogni altro sa regalare tempo. Tempo per la cucina, tempo per pensare agli altri, tempo per incartare e scartare regali. Tempo per pensare a nuovi progetti.
Avevo pensato di parlare di ben altro in questo post ma, seguendo la mia innata incoerenza, vi lascerò questo articolo un po’ fuori tema, visto che ha poco a che vedere con l’Epifania.
Semmai ha più a che vedere con tutto quello che viene dopo, che si sa, l’Epifania tutte le feste se le porta via.
I crostoni di cavolo nero sono un piatto tipicamente invernale.
Un piatto degli avanzi, perché permette di utilizzare tutto quel pane in eccesso che è rimasto lì, ad indurirsi dopo i giorni di festa, quando si perde talmente il contatto con la realtà che è difficile fare spese oculate e gli avanzi sono sempre in agguato.
In alcuni ricettari di cucina toscana, la ricetta dei crostoni di cavolo nero, semplicissima ma gustosa, viene presentata come antipasto.
Spesso lo si trova con l’aggiunta di fettine di lardo o fagioli bianchi in accompagnamento, sotto forma di piccole bruschette croccanti.
Io invece vi propongo la versione che ho sempre mangiato in casa, un primo piatto che assomiglia quasi ad una zuppa e dove il passaggio fondamentale sta proprio nell’immergere il pane agliato nell’acqua di cottura del cavolo ancora calda.
I crostoni di cavolo nero per me sono il primo piatto dai sapori forti, con pochi e salutari ingredienti, un conforto per le serate umide e fredde d’inverno.
Crostoni di cavolo nero
Ingredienti
- 1 cavolo nero
- 8 fette di pane toscano
- aglio
- olio extra vergine
- sale
- pepe
- limone (succo)
Preparazione
- Pulite il cavolo nero avendo curo di togliere le coste più dure.Basterà prendere la foglia dalla base e tirare come per sfilarla dalla costa: rimarrà nella vostra mano la parte verde e la costa si spezzerà proprio nel punto in cui diventa più tenera.
- Lavatelo benissimo in acqua corrente e lessatelo per 40/50 minuti in acqua bollente leggermente salata.
- Una volta cotto, scolate il cavolo con un schiumarola, tenendo l'acqua di cottura.
- Affettate 8 fette di pane toscano spesse e abbrustolitele in forno o su di una griglia.
- Quando ancora sono belle calde, strofinate su di un lato uno spicchio di aglio, quindi immergete le fette abbrustolite nell'acqua di cottura del cavolo ancora calda.Basterà immergerle e tirarle subito su, altrimenti si bagneranno troppo.Adagiate quindi due fette di pane in ogni piatto.
- Strizzate e condite il cavolo nero lessato con olio, sale, pepe e, se gradite, una spruzzata di limone (io lo metto).
- Disponete il cavolo condito sulle fette di pane bagnato, aggiungete un altro giro abbondante di olio e una macinata di pepe nero fresco.